LA MIA SALUTE NELLA MALATTIA

L'incontro sul primo tema del ciclo, la malattia, si è svolto nella prestigiosa e suggestiva sede del Castello di Poppi ed ha visto come protagonisti, oltre ad un folto pubblico, personaggi che hanno saputo sapientemente unire la loro professionalità ad una sorprendente umanità e sensibilità.

La conduzione dell'incontro da parte dei due giornalisti, ha reso poi il pomeriggio fruibile e piacevole all'ascolto, con osservazioni, domande, integrazioni e suggerimenti bibliografici, nonostante la gravità e la portata, soprattutto in termini psicologici, del tema affrontato.

Qui di seguito riportiamo la traccia che ha accompagnato gli interventi e le riflessioni dei relatori e conduttori a cura di Paolo Ciampi.

Paolo Ciampi


Per me questo cancro è stata una grande benedizione, questo cancro mi ha salvato”
Così inizia Un altro giro di giostra
“Si sa, capita a tanta gente, ma non si pensa mai che potrebbe capitare a noi. Questo era sempre stato anche il mio atteggiamento.
Così, quando capitò a me, ero impreparato come tutti e in un primo momento fu come se davvero succedesse a qualcun altro.
«Signor Terzani, lei ha il cancro », disse il medico, ma era come non parlasse a me, tanto è vero — e me ne accorsi subito, meravigliandomi — che non mi disperai, non mi commossi: come se in fondo la cosa non mi riguardasse”.

> Il problema delle definizioni
Come definire la salute? Spesso è una condizione di cui si ha un’esperienza quasi inconsapevole e di cui forse si avverte il significato solo quando la salute è persa.
La salute è "uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale", come definito dall'Assemblea dell'ONU nel 1948. Ha certi vantaggi perché punta, oltre che sulla componente fisica, anche su quella psichica e sociale. Ma con questa definizione chi può dirsi sano?
La salute come continuum.

Che cosa è la cura? Nell’etimologia ci sono tanti significati, che poi non sempre troviamo nella cura medica: sollecitudine, grande e ampia diligenza, vigilanza premurosa assistenza.
Da cosa ci si cura? In realtà di fronte al cancro non si tratta semplicemente di aggiustare un corpo che si è rotto.
Ludovico Guarnieri, quando dice di affrontare la malattia non solo col desiderio di guarirne, ma anche di usarla come medicina per migliorare se stesso.

Corpo e organismo
Umberto Galimberti: La battaglia contro il cancro, Repubblica 9 novembre 2003
La gente parla il linguaggio del corpo che sente un dolore, avverte un' infermità, un impedimento alla vita, mentre il medico parla il linguaggio dell' organismo che non sente un «dolore» ma un «male», non percepisce «un impedimento alla vita», ma una «disfunzione». Con il mio corpo ho un rapporto di identità, per cui non dico che «ho un corpo stanco», ma che «sono stanco», col mio organismo ho un rapporto di estraneità per cui non dico che: «Sono un cancro», ma che «ho un cancro».
Ora, senza l’oggettivazione del corpo, senza la sua riduzione a “cosa” la scienza non avrebbe fatto un solo passo innanzi rispetto al tempo in cui si curava la gente con pratiche magiche e riti propiziatori, però la scienza deve anche sapere e porre rimedio al fatto che per ciascuno di noi è psicologicamente impossibile visualizzare il proprio corpo come pura oggettività, come cosa tra le cose.

Io sento come mio il corpo che ha a che fare con il mondo della vita, ma non sento come mio l’organismo che ha a che fare con il mondo della scienza. E allora qui ci vuole uno sforzo congiunto.

> Aggiustatori o sciamani?
Terzani non è un’icona delle “dolci” terapie cosiddette alternative in contrapposizione alle “disumanizzante” medicina occidentale. Però è una persona che pensa con la sua testa e che, per inciso, sceglie come prima tappa uno dei santuari dell'oncologia occidentale, a New York.

Prof. Lucio Luzzatto direttore scientifico dell'Istituto Toscano Tumori

“Però bravi, bravi, a loro modo bravi, in fondo mi hanno lasciato in giro per sette anni”
Terzani pone un problema di umanizzazione della medicina
Esprime la richiesta di una mitezza della medicina

Ludovico Guarnieri:
“I medici mi hanno dato il massimo della loro scienza; si sono riuniti a discutere il mio caso, hanno guardato attentamente nei microscopi, ma soltanto alcuni hanno alzato la testa e mi hanno guardato negli occhi….”.

Ignazio Marino in “Credere e Curare”
“Nessun corso all’università e nessun compagno di lavoro con maggiore esperienza insegna quello che si prova una volta entrati a fare parte dello staff medico o chirurgico di un ospedale… Nessuno insegna nemmeno a relazionarsi con i familiari dei pazienti… In altre parole i medici non sono preparati e attrezzati ad affrontare la sofferenza fisica e psicolo
gica dei pazienti… Forse è proprio per questa incapacità, per questo limite, che si sviluppa la tendenza a distaccarsi emotivamente dalle vicende umane, più per eccesso di difesa che per disinteresse”

> Oriana e Tiziano
Una reazione diversa di una altra grande protagonista del nostro tempo, Oriana Fallaci. La sua traiettoria di malattia, analoga a quella di Terzani ma vissuta in modo assolutamente agli antipodi da Terzani.
Ne ha parlato Gad Lerner in “Oriana Fallaci. Così ha combattuto la battaglia più importante”, su Repubblica del 16 settembre 2006. Da rileggere.
La rabbia e il tumore è solo uno stupido gioco di parole. Eppure c’è un nesso evidente fra la potenza suggestiva delle ultime, controverse opere della Fallaci e il declino del suo corpo aggredito. Oriana e il cancro. L’ultima guerra di Oriana.
Una guerra contro il suo corpo in disfacimento dal quale occorre a suo dire estraniarsi cercando l’unico rifugio possibile nella trincea della mente. Il cervello, sì, solo quello combatte ancora, convinta com’è Oriana che possa “controllare, tenere a bada, un mucchio di cellule impazzite”. Così si descrive nell’estate 2004 in Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci. Fino a deformare il motto latino: “Mens sana in corpore infirmo”. Ci tiene a ripeterlo, a scanso d’insinuazioni: la mente resiste benissimo, l’anima è solo una formula chimica, il cervello secerne anticorpi. Con l’elmetto in testa, fino all’ultimo, in contrapposizione al corpo percepito ormai come nemico. Non a caso lo chiama l’Alieno, quel cancro che “s’è fatto il nido nei polmoni e nella trachea e nell’esofago”.
Ha reagito con rabbia di fronte all’intrusione aliena. Il corpo invaso diviene terreno di battaglia da cui ritirarsi, perfino disinteressandosene: “Con l’11 settembre smisi di curarmi”.

Terzani esamina con distacco, perfino curiosità, quel che gli capita. Non rinuncia a curarsi, sperimenta su se stesso. Stabilisce subito che la sua non dovrà essere una “guerra al cancro” ma una ricerca insieme terapeutica e spirituale.
Decide perciò di instaurare un rapporto amorevole con il corpo di Tiziano, accudirlo nell’accompagnamento della terapia, accettando che il cancro non sia un Alieno ma una parte della sua esperienza vitale. Così, in ultimo l’ironia del morente gli consentirà addirittura di rivolgersi all’“amico cancro”.

> Dentro la malattia
Gorge Groddeck nel Libro dell’Es (1923)
“Di tutte le teorie che sono state proposte sul cancro io, nel corso del tempo, ne ho conservato solo una, e cioè che il cancro attraverso determinate manifestazione, conduce alla morte. Se non porta alla morte non è cancro, secondo me. Da ciò si può dedurre che non nutro alcuna speranza nella scoperta di un metodo per guarirlo”.

Da Un altro giro di giostra :
“Vivo ora, qui, con la sensazione che l’universo è straordinario, che niente, mai ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra”.

Donatella Carmi presidente di FILE

Massimo Orlandi con Antonella Roveri responsabile servizio cure pagliative in Casentino

Cancro come condanna e cancro come inizio di un itinerario, appunto.
Terzani butta alle ortiche un vestito che gli stava stretto.

“La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi”.
(Italo Svevo, La coscienza di Zeno)

L’esperienza del “malanno” prima ancora che come un problema di malattia in se stessa, come un problema di relazione, anzi di relazioni
- con se stesso, in primo luogo, e intendo con il proprio corpo, ma anche con le proprie convinzioni, con la propria percezione di se stessi, con la nostra stessa identità.
- con i medici a cui dovremo affidarci e con cui dovremo stipulare una sorta di alleanza terapeutica

- con le persone che ci stanno vicino o che vorremmo ci stessero vicino.

“Viaggiare era sempre stato per me un modo di vivere e ora avevo preso la malattia come un altro viaggio: un viaggio involontario, non previsto, per il quale non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo preparato, ma che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più impegnativo, il più intenso” (Un altro giro di giostra)

“La miglior cosa che potevo fare era tornare a vivere nella mia baita… e ho passato forse il periodo più bello della mia vita” (da Anam)

>Il giro finale: la questione della mortalità
“L’uomo dice che il tempo passa. Il tempo dice che l’uomo passa” (ancora Terzani)
Gli oncologi attenti lo sanno, così come tutti noi sappiamo che non moriamo perché ci ammaliamo, ma ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire. Qui vale il monito di Nietzsche: «Si è cattivi spettatori della vita, se non si vede anche la mano che delicatamente uccide».
Ignazio Marino in Credere e Curare:
Nessuno accetta più la sentenza “non c’è nulla da fare”, mentre molti pazienti sono disposti ad andare incontro a terapie inutili, a volte irragionevolmente invasive, che non serviranno a nulla se non peggiorare la qualità della vita negli ultimi mesi che restano da passare su questa terra. Ma la fiducia nel progresso è tale che non si ammette la sconfitta, non si accettano i limiti che la medicina invece continua ad avere

L’esperienza di Folco, raccontata al Meeting di San Rossore di due anni fa, è stata la malattia del padre, che dice “giornalista di guerra che è diventato molto molto contro la guerra”. Un uomo, ha raccontato, che alla fine si è trovato la guerra dentro il proprio corpo, il cancro, e l’ha combattuto con terapie fortissime. Così ha detto Folco:
“Mio padre ha poi capito che non c'era medicina per quello che aveva dentro, perché quello che aveva era la mortalità, e allora è riuscito ad andare verso la morte come fosse un amico, con il sorriso sulle labbra”.

Folco Terzani

… Le parole per continuare …

Segnalazioni bibliografiche a cura di Paolo Ciampi


Lucio Luzzatto, Capire il cancro, Rizzoli 2006

Ovvero, come uno scienziato di fama internazionale, può scrivere un libro non per addetti ai lavori, anche se scientificamente ineccepibile. Non un manualetto semplificato e banalizzante, ma un percorso serio, documentato, ricco di attenzioni umane, nel mondo della malattia e della cura. Con un messaggio di speranza che vale per tutti: il cancro, oggi, non è più una condanna, col cancro si può vivere, dal cancro si può guarire. Di Luzzatto il nostro Terzani diceva: “E’ uno scienziato che non mi fa rimpiangere nessuno sciamano. Sarei stato ore a fare lo studente con un maestro come lui. Ha semplificato per me quel che era complicato”.

Umberto Veronesi, Mario Pappagallo, Una carezza per guarire. La nuova medicina tra scienza e coscienza, Sperling 2005

“Una carezza vale più di un lungo discorso. Il bravo medico non deve mai dimenticarsi di mettere il paziente al centro della sua attenzione, di instaurare con lui un rapporto prima di tutto umano e allacciare un legame di fiducia”. Comincia così, il libro di un altro grande medico che si interroga sui temi essenziali della malattia e della cura, sui limiti della scienza e sui diritti del paziente. Argomenti anche scomodi per una riflessione mai scontata, e comunque sempre appassionata e intrecciata a ricordi personali di vicende e situazioni che hanno cambiato la visione del mondo o della scienza di un grande medico.

Ludovico Guarneri, La cosa più stupefacente al mondo. Avventure di un malato esperto, TEA 2006

Il cancro, le cure e, tra illusioni e disillusioni, il ritorno alla vita. Un messaggio di coraggio e speranza. L’autore, ammalatosi di tumore, comincia un viaggio nei meandri della medicina tradizionale e alternativa, un viaggio che lo porta in giro per il mondo. E grazie alla sua voglia di vivere, sperimenta di tutto. Una ricerca incessante che, con il suo carico di speranze e di delusioni, diventa essa stessa la “medicina” che lo porterà alla guarigione.
Guarneri con le sue parole, con le sue storie vissute e quelle raccolte, semina speranza, parla al paziente come nessun medico è capace perché lui, al contrario del medico che ha fatto la conoscenza del male sui libri, lui l’ha fatta su se stesso…Questo libro è di grande aiuto a chi si trovi a dover affrontare la malattia, non solo col desiderio di guarirne, ma anche con l’aspirazione di usarla come medicina per migliorare se stesso”. (Dall’introduzione di Tiziano Terzani)

Frank Ostaseski, Saper accompagnare. Aiutare gli altri e se stessi ad affrontare la morte, Mondadori 2006

Un piccolo grande libro, che con semplicità sa proporsi come una gemma di saggezza per chi affronta nella propria vita la prova della malattia terminale. Pagine scritte con la vita di un uomo, di religione buddista, che nei suoi “hospice” a San Francisco ha sostenuto nel cammino verso la morte migliaia e migliaia di malati, assieme alle loro persone care. Con compassione e serenità, con la consapevolezza che anche questo momento di passaggio può essere un’ esperienza che arricchisce la nostra vita.
La morte è la questione centrale delle nostre vite eppure a mala pena pronunciamo la parola. In America impieghiamo tutta una serie di eufemismi al posto della parola ‘morte’. Le persone non muoiono, se ne vanno o finiscono, come una carta di credito. Nella vita facciamo piani su tutto: con chi ci sposeremo, dove andremo in vacanza, quale carriera intraprendere, quanti bambini avere... tutte cose che potranno non accadere mai. Ma per l’unica cosa certa che ci capiterà non ci prepariamo. E anch’io non sono poi tanto diverso dagli altri…. Ogni giorno lavoro con persone che stanno morendo e ancora ci sono dei giorni in cui penso che a me non capiterà. Ma molto lentamente, nel corso di questi vent'anni, la morte ha iniziato a richiedere la mia attenzione ed è proprio perché richiama la nostra attenzione che essa ha una tale grazia e un tale potere...

Silvia Bonino, Mille fili mi legano qui. Vivere la malattia, Laterza 2006

“Ho scritto questo libro per me, perché nulla quanto lo scrivere chiarisce i propri pensieri, sentimenti ed emozioni. Ho scritto questo libro per gli altri, perché confido che le mie riflessioni possano essere utili anche ad altre persone. Ho ritenuto di cercare di fondere insieme la conoscenza teorica con l'esperienza personale, la scienza e la testimonianza. Mi è sembrato che soltanto questa fusione consentisse di esaminare davvero la malattia nei suoi infiniti aspetti, che solo il malato può conoscere, e di andare, nello stesso tempo, oltre la propria personale e irripetibile esperienza”. Una studiosa affermata, psicologa dello sviluppo, sperimenta su di sé la più traumatica delle esperienze, quando scopre di essere malata di sclerosi multipla: e lo fa, in primo luogo, con la volontà di restituire un senso e un’identità alla sua vita.

Ignazio R. Marino, Credere e curare, Einaudi 2005

La malattia e la cura dal punto di vista del medico: in questo caso un chirurgo di fama mondiale, specialista in trapianti, che crede ancora alla pratica medica come missione. Riflessioni lucide, e amare, su una professione in prima linea nella battaglia contro la sofferenza, ma anche su una professione che sta cambiando e che mentre si arricchisce di contenuti tecnologici perde qualcosa, o molto, in contenuti umani.
Nessun corso all’università e nessun compagno di lavoro con maggiore esperienza insegna quello che si prova una volta entrati a fare parte dello staff medico o chirurgico di un ospedale… i medici non sono preparati e attrezzati ad affrontare la sofferenza fisica e psicologica dei pazienti… Forse è proprio per questa incapacità, per questo limite, che si sviluppa la tendenza a distaccarsi emotivamente dalle vicende umane, più per eccesso di difesa che di disinteresse”.

Susan Sontag, La malattia come metafora, Oscar Mondadori 2002

Un tempo era la tubercolosi, oggi è il cancro, ma il discorso in fondo non cambia. La malattia non è solo qualcosa che aggredisce e muta il nostro corpo. E’ anche un’immagine sociale che, attraverso la malattia, ricade sulle spalle del malato. Pregiudizi, percezioni, spesso sensi di colpa, che possono complicare a dismisura la strada della battaglia alla malattia.
“La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene in quello dello star male. Preferiremmo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese”.

Raymond Carver, Il nuovo sentiero per la cascata. Poesie, Minimum Fax 2001

Ai primi del 1988, Raymond Carver, uno dei più grandi scrittori americani contemporanei, è un uomo condannato da un tumore ai polmoni ormai in metastasi. Condannato dalla malattia ma non disperato: l’autore che ci ha raccontato con grazia e sensibilità straordinarie tante storie vita – come quelle tradotte sul grande schermo in America Oggi di Robert Altmann – raccoglie gli stati d’animo di questi ultimi mesi di vita in una cinquantina di poesie: altrettante dichiarazioni d’amore per la vita, un addio senza lacrime e con gratitudine.

Virginia Woolf, Sulla Malattia, Bollati Boringhieri

Tra i lavori della grande scrittrice inglese, non è certo tra i più conosciuti. Ed è un peccato, perché ancora oggi ti sorprende per attualità e per acutezza. Ai tempi doveva essere quasi scandaloso: per dirne una, già allora rivendicava le opportunità della malattia e sosteneva che senza malattia certe verità rimarrebbero per sempre escluse alla conoscenza umana.
“Considerato quanto sia comune la malattia… appare davvero strano che la malattia non figuri assieme all’amore, alle battaglie e alla gelosia tra i temi principali della letteratura. Verrebbe da pensare che romanzi interi siano stati dedicati all’influenza; odi alla polmonite; liriche al mal di denti. Ma no…”

Infine due classici che fa sempre bene leggere.

Il primo: La Montagna Incantata di Thomas Mann, la storia di Hans Castorp, il giovane ingegnere di Amburgo che, in visita a un sanatorio di Davos, scopre di essere affetto da tubercolosi e in quello stesso sanatorio rimarrà per sette anni: enorme, complesso, avvolgente come sabbie mobili che finiscono per inghiottirti. La malattia anche come distacco dal mondo e dai suoi obblighi “borghesi”, come itinerario spirituale e filosofico.

E il secondo: La morte di Ivan Il’ic di Tolstoj, uno dei romanzi brevi del grande maestro russo. Spietato e dolcissimo, cupo e luminoso, sempre sorprendente. La scoperta della malattia e l’avvicinarsi della morte in un racconto in prima persona, attraverso il distacco e la sofferenza, ma anche attraverso una straordinaria rivoluzione umana. La malattia come crollo delle illusioni, conclusione di una vita superficiale fatta di abitudini e convenienze, scoperta dei sentimenti, dell’umanità propria e altrui.


Foto di Alessandro Ferrini